Gino Marchitelli - Milano non ha memoria




Vieni dottò, vieni dottò, sterza, ahsterza, troppo, no troppo, eccallà!”.

Con questo incipit laziale potrei dare il via, oltre che senso ultimo, alla recensione del milanesissimo Milano non ha memoria – Il Commissario Lorenzi indaga a Lambrate, romanzo dell'altrettanto meneghino Marchitelli Gino, gioco di parole escluso. 

Sospinto dagli entusiastici endorsement di Radio Popolare (Renato Scuffietti), Radio24 (Daniele Biacchessi) e da quello dell'immarcescibile Vittorio Agnoletto... appunto, fermi qua, anzi no, partiamo proprio da qui. Non ho mai capito perché certi libri debbano essere “vidimati” da qualsivoglia persona, tipo benedizione papale, cavolo.

Oltretutto sapendo che queste entusiastiche parole spesso vanno poi a condizionare le aspettative del lettore che nel caso specifico si aspetta di trovare un romanzo/specchio della società moderna. E invece non è così e il colpevole qui non è il maggiordomo, ma l'eccesso

Capiamoci, il libro scorre, scritto bene, contestualizzato in una parte di Milano, Lambrate, ancora ricca di personalità schiacciata com'è tra i binari dell'omonima stazione, vecchi stabilimenti e tangenziali in semiperpetuo cantiere. Ma non ho potuto fare a meno di sentire addosso, dall'inizio alla fine, una certa fretta di pigiare sull'acceleratore della “riflessione” piuttosto che lasciare che il racconto generi spontaneamente, naturalmente, di per sé, l'idea, la riflessione relativa a quanto smosso dalla narrazione.

E allora troviamo così delle figure assolutamente esagerate: partendo da una banda di neonazi stereotipati al massimo (i leggings della skin che fanno trasparire le grandi labbra sono il picco di un assurdo che rasenta il b-movie pornografico), quando lo sanno anche i muri che il tipico “esemplare” della razza ariana è l'impensabile impiegato, stile nine-to-five, tanto insospettabile e banale quanto per questo pericoloso. 

Menzione di onore all'esagerazione anche per la caratterizzazione di Radio Popolare (che contraccambia la passione passando la pubblicità del libro), emittente alla quale sono affezionato, ma che viene presentata nel romanzo come specializzata in inchieste di strada, cosa che non mi pare faccia più, almeno per quanto l'ascolti durante la giornata...

Per finire – ma qui sono punti di vista – con un esagerato buonismo pro immigrazione che come tutti i buonismi (estremizzazione di un corretto sentimento di accoglienza verso il migrante) rischia di rovinare la seppur bella ed intensa costruzione del protagonista Khaled e della sua famiglia. 

Gino, mi permetto di darti del tu, ascoltami, a Lambrate esistono, oltre che persone accoglienti, e immigrati gran lavoratori, anche dei grandissimi figli di buona donna, italiani, ma anche stranieri, che approfittano del nostro paese per fare quel cavolo che vogliono in barba alle leggi vigenti. Scrivere un romanzo poliziesco, giallo, noir, deve coincidere quindi con la responsabilità di riportare (soprattutto se si parla di noir) una diapositiva vera quanto vivida della realtà agli occhi del lettore. E in questo libro, se si parla di Lambrate, ma anche di Milano, se non dell'Italia, questo non c'è.

Gino, parlo a te direttamente: Hitler non era un palestrato, Mussolini aveva la pancetta e chi ha aperto il fuoco a Parigi non era un mujaidin barbuto  puzzone e venuto da Marte, ma dei ragazzi che sono cresciuti in luoghi come Lambrate... il male, infatti, può essere banale, comune, quotidiano, anzi lo è il 99% delle volte, senza tirar in mezzo improbabili discoteche svasticate dal gusto cinghiamattanza che tengono in scacco interi quartieri con proprietari che ciulano davanti agli altri tra i tavolini.

A questo libro manca proprio la (vera) banalità del male narrato e per questo rischia purtroppo di essere banale in sé, perdendo un'occasione preziosa per far nascere una riflessione nel lettore, una riflessione libera, matura, aperta e anche un pelino angosciante, visto il genere.

Comunque una lettura è sempre consigliata. Non fa di certo male. Ci mancherebbe!

Però Gino è rimandato a settembre. Mi spiace.

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